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Data: 25/10/2016 -

Nocchi e la sua storia bianconera...grigia: "La Juve, il mito Buffon, il trolley e la Porsche di Chiellini"

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‘Io gioco attaccante’, ‘palla o portiere?’. Domande che ricorrono in oratorio, tra i bambini. Sempre il solito problema: nessuno vuole mai mettersi a porta. ‘Al massimo portieri volanti…’. Tutti vogliono saltare l’uomo, tutti vogliono segnare, tutti vogliono correre… “Tranne me! Giocavo terzino prima, ma non amavo molto correre e così un giorno vado dal mister e gli chiedo: perché non mi metti in porta? E poi mi sono appassionato al ruolo…”. Lui è Timothy Nocchi e difende i pali del Tuttocuoio. Cambiamo termine, così magari anche tu potrai diventare l’idolo dei bambini, no? “Difende i pali suona meglio effettivamente. Idolo mi sembra difficile, vi posso solo dire che il mio è Batman e a Carrara mi avevano anche dato questo soprannome perché avevo fatto prestazioni importanti”.

Quando sei davvero appassionato di qualcosa ne riesci a cogliere tutte le sfumature, ad analizzarla in profondità.Noi portieri siamo particolari…siamo tutti matti!”. Ecco, appunto. “Uno che si butta a terra tra le gambe della gente e rischia di prendere belle tacchettate o sui sassi tanto normale non dev’essere. Scherzi a parte, per parare ci vogliono gli attributi racconta Nocchi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com perché devi reggere un reparto da solo”. Personalità è la parola chiave. Tipo quella di Buffon, per il quale Nocchi prova qualcosa di più della classica ammirazione: Lui è un mostro, una roccia, una macchina. Indefinibile. Un mito e un esempio”.

Tanti allenamenti insieme alla Juventus. Si impressionava Nocchi, era un’estasi continua vedere il ‘collega’ parare. Le sfide, gli schiaffetti in allenamento. Ah, se gli è dolce il naufragar in questo mare! “La Juventus mi ha preso dal Rosignano quando avevo 14 anni e sono tutt’ora un tesserato bianconero. L’anno nel quale ero nella Primavera spesso andavo a fare il terzo portiere con la prima squadra perché in quei mesi Buffon aveva un problema con l’ernia e quando mancavano lui o Chimenti o Manninger mi chiamavano. Non ho mai giocato, ma con la Juventus ho girato l’Europa: ricordo al Bernabeu la standing ovation a Del Piero. Brividi”. Gli allenamenti, Nocchi con gli occhi del fanciullino di pascoliana memoria ad apprendere dal ‘maestro’. Nessuno parlava, non si sentiva nulla. Solo libidine nel veder Buffon fare certe cose, ammirazione e una voglia sana e sfrontata di empatia: “Io ero il fratellino piccolo, diciamo. Tutti mi davano consigli. Le sfide con Gigi, Chimenti e Manninger che finivano sempre allo stesso modo…perdevo e prendevo gli schiaffetti! Ah già che ci siamo ve ne dico un altro: il venerdì Del Piero si fermava dopo la rifinitura a provare punizioni e rigori, non sono mai riuscito a parargliene uno. Del Piero e Buffon pazzeschi”. Lo ripete tre volte, con umiltà e profonda stima.

Un’avventura in bianco…nero sfumato tendente al grigio, “in campo solo mezz’ora in amichevole con il Piacenza, se ripenso a quando Ranieri mi disse ‘Nocchi, entri tu’ mi tremano ancora le gambe”. Il resto – rivela – è una commistione di panchine, soprattutto nelle giovanili. “Rivedo spesso quel ragazzino seduto lì, ho un po’ di inquietudine”. E quella volta invece che ti sei ‘seduto’ nella Porsche di Chiellini? “Ah, lì ho fatto un figurone. Io sono di vicino Livorno come lui quindi a volte mi portava a casa perché al tempo non avevo la patente. Un giorno lo vado ad aspettare col mio trolley, arriva ed io vado dietro a mettere la valigia nel portabagagli. Giorgio si gira e mi fa ‘Timothy ma dove vai? Dietro c’è il motore, il portabagagli è davanti…’. Io ovviamente non lo sapevo e chi c’era mai saluto su una Porsche?”.

Un tipo simpatico, schietto ma anche perfettamente razionale. Calciatore e non solo. Chissà se andrà alle prossime Olimpiadi di canottaggio“No, grazie. Amo la canoa è il mio hobby. Ma solo per farmi un giro la mattina e andare in mezzo alle rocce. Certo, quando ho tempo…”. Legge molto: vola tra i pali e anche sui libri. Ha quasi finito Vagamondo. Strano, perché generalmente si dedica a letture sulle filosofie orientali. E si rivede, con le dovute proporzioni ovviamente, in Rubin Carter alias ‘Hurricane’: “Era un pugile di successo che poi per motivi razziali è stato accusato di omicidi che non aveva commesso e da innocente si è fatto vent’anni di carcere. Con la sua voglia di vivere, la sua testardaggine alla fine è riuscito ad uscirne e a riprendere la propria vita. E’ un capolavoro. Io mi rivedo un po’ in lui perché un anno non mi voleva quasi nessuno ed ero stato costretto a ripartire dalla Serie D e poi sono risalito fino alla B”.

Due anni senza giocare mai, l’anno scorso a novembre si è rotto il crociato. E, in estate, la chiamata del Tuttocuoio: “Ho capito subito che questa è una grande famiglia e gli sarò sempre riconoscente per la fiducia che mi hanno dato. Mii hanno lasciato tranquillo e nonostante tutto hanno puntato su di me”.

Non smette di sognare e di lottare, Nocchi sempre con quel sano realismo che contraddistingue la sua indole: “Sono ancora della Juventus, ma a 26 anni è difficile pronosticare un mio futuro in bianconero”. Viva la sincerità, viva la voglia di provarci sempre. Perché chi ci prova può perdere, ma chi non lo fa perde in partenza. E Batman non esiste solo nei fumetti…



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